Coronavirus: Pratiche commerciali sleali dall’estero per l’agroalimentare italiano
Il Sottosegretario alle Politiche Agricole, Giuseppe L’Abbate, rassicura gli esportatori e ricorda le norme comunitarie e nazionali che vietano la richiesta di una certificazione ‘virus free’
Con l’estensione a tutto il territorio nazionale dell’area arancione per il contrasto alla diffusione del Covid-19, riprendono le speculazioni sull’esportazione di merce italiana all’estero. Dopo il chiarimento del Governo Conte che il trasporto merci è considerato come un’esigenza lavorativa e che, pertanto, il personale che conduce i mezzi di trasporto può circolare liberamente sul territorio italiano, limitatamente alle esigenze di consegna o prelievo delle merci; iniziano a palesarsi tentativi di “guerra commerciale” dai Paesi esteri che pretendono il marchio “virus free” ai prodotti Made in Italy. “Come ha specificato il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, i nostri prodotti non sono diversi da quelli di prima e non è necessaria alcuna certificazione – dichiara il Sottosegretario alle Politiche Agricole, Giuseppe L’Abbate – Ho ricevuto diverse segnalazione di esportatori che ricevono richieste di questo tipo da altri Paesi membri dell’Ue. A chiarire come si tratti di una pratica commerciale sleale, vietata dalla normativa comunitaria è lo stesso decreto 9 emanato lo scorso 2 marzo. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, intanto, prosegue il lavoro di diplomazia economica con gli ambasciatori di tutti i Paesi, con una campagna informativa mirata. Inoltre – prosegue L’Abbate – abbiamo rafforzato il sistema ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) con un incremento di fondi pari a 350 milioni di euro”. Il decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 “Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” afferma chiaramente all’art. 33 che “Costituisce pratica commerciale sleale vietata nelle relazioni tra acquirenti e fornitori ai sensi della direttiva (UE) 2019/633 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, la subordinazione di acquisto di prodotti agroalimentari a certificazioni non obbligatorie riferite al COVID-19 né indicate in accordi di fornitura per la consegna dei prodotti su base regolare antecedenti agli accordi stessi. Salvo che il fatto non costituisca reato, il contraente, a eccezione del consumatore finale, che contravviene” a questi obblighi “è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 15.000 a euro 60.000. La misura della sanzione è determinata facendo riferimento al beneficio ricevuto dal soggetto che non ha rispettato i divieti”. Responsabile dei controlli e delle relative sanzioni è l’Icqrf, l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi. “Invito, pertanto, tutti coloro che subiscono questa pratica commerciale sleale a segnalare all’Icqrf ed a ribadire la normativa in vigore, sia nazionale sia comunitaria – conclude il Sottosegretario Giuseppe L’Abbate – È accaduto qualcosa di simile già con la Xylella fastidiosa dove è stato messo in discussione il nostro olio extravergine di oliva: nessuno deve fare il furbo e approfittarsene. Viviamo un momento davvero difficile come Paese e non possiamo permetterci di subire ulteriori colpi alla nostra economia. Insieme, però, sono certo che riusciremo a superare questo periodo drammatico”.