Malagò spegne i diritti tv. Commissari, squadre B e ripescaggi. La cacciata (senza stile) di Eziolino.
Emergono perplessità sulle gestioni commissariali del sempre presente Malagò e del braccio destro Fabbricini. Al di là di questo aspetto, secondo il quale il più forte sceglie anche l’attività di Commissario (modello primissima Repubblica), la gestione generale non può che destare perplessità (eufemismo). Per non dire di peggio. Nel nostro ultimo editoriale avevamo espresso dubbi sull’ingaggio di Carlo Ancelotti come nuovo commissario tecnico della nazionale. Nulla sulla caratura della persona. Si tratta di un top. Criticavamo la mossa. Fatta per nascondere le criticità della gestione commissariale. Fino a oggi, lo dicono i fatti, non si è realizzato neppure uno degli obiettivi prefissati.
Andiamo con ordine. Malagò (che Dagospia, non a caso, chiama Megalò) si è impantanato, in modo fragoroso, sulla “vitale” questione dei diritti tv. La scarsa preparazione dei consulenti utilizzati ha “permesso” a Sky di ricorrere al Tribunale di Milano. Risultato: la sospensione del bando d’asta. A seguire Mediapro non ha rilasciato la fidejussione a garanzia dell’offerta (parliamo di 1 miliardo e 50 milioni). Il “timore” che il Tribunale, dopo il decreto, possa procedere all’annullamento dell’asta, getta nel panico le società di A e l’intero sistema calcio. Senza il denaro dei diritti televisivi il calcio italiano va allo sbando. Accade allora che l’assemblea della Serie A, prevista per venerdì 4 maggio, venga annullata. Slitta a lunedì 7 presso la sede del Coni. A seguire si terrà il Galà organizzato in occasione della finale di Coppa Italia. Probabile che il presidentissimo del Coni sia più tagliato per tali manifestazioni. Per le pubbliche relazioni piuttosto che per la gestione di cose concrete. Per carità, anche le cene di gala sono importanti, ma a distanza di 5 mesi dall’insediamento, la gestione Malagò cosa ha prodotto? Nulla.
Ovvero. Una causa e una elezione, a presidente, di un banchiere, in conflitto di interessi. Effettuata tra l’altro con modalità discutibili. Ancor peggio la gestione del commissario in Federcalcio. L’unica riforma (a parole) è stata quella di sbandierare ai quattro venti l’arrivo delle seconde squadre in Serie C. Senza che ne siano però precisate le modalità (è una facoltà? Un obbligo? Come si gestiscono i campionati?). Si volevano anche bloccare, con decorrenza immediata, i ripescaggi (si sarebbe provocata l’insurrezione). Dimenticando che l’articolo 50 delle norme federali “recita” che qualsiasi modifica ai campionati entra in vigore a partire dalla seconda stagione. Qualcuno ha dovuto ricordarglielo. La nomina del citì è sembrata una mossa di immagine. Tanto è vero che Ancelotti ha detto no grazie. Forse andava sentito, prima di...
Ora è Mancini il primo candidato. Il “Mancio” è tutt’ora legato a una società appartenente ad una Federazione associata alla Uefa. La nostra Federazione (quella italiana), prima di dar fiato alle “trombe”, doveva avere il buon gusto di attendere che il tecnico si rendesse libero di sottoscrivere un accordo. Sul punto permangono le nostre perplessità. 5 milioni, a stagione, per Mancini e il suo staff. Il bilancio federale può permetterselo? Ha il commissario Fabbricini questo potere? La Giunta straordinaria del Coni, che lo ha nominato, gli ha conferito questo potere? Oppure il Commissariamento è frutto dell’impossibilità di governare in considerazione della mancata elezione del Presidente della FIGC. “Recita” la delibera numero 52 della Giunta Nazionale del Coni (dell’1 Febbraio 2018) che nomina il commissario straordinario: “ponga in essere tutti gli atti necessari per il funzionamento della federazione, anche in relazione alle funzioni di controllo e vigilanza sulle strutture federali”. Al di là dei tecnicismi e delle perplessità di chi scrive. La nomina di un citì a 5 milioni all’anno rientra davvero nei poteri di un commissario chiamato a fare altro? Di certo l’opportunità di un simile investimento sarebbe stato possibile dopo aver fatto le riforme di Statuto e dei Campionati. Inteso come: alla fine del lavoro principale, nomino anche il nuovo commissario tecnico. Come primo (e unico) atto appare invece del tutto fuori luogo. Le componenti (non tutte, ma comunque una ampia maggioranza), la notizia è di questi giorni, si sono rese conto che lasciare la gestione in mano a questi commissari si è tramutato in un mandato a... dilettanti. I sei mesi di gestione commissariale sono alla fine, la Lega Nazionale Dilettanti, la Lega Pro e l’Associazione Calciatori si sono coalizzate per chiedere al dottor Fabbricini di togliere il disturbo. Chiedere di convocare l’assemblea. Si dirà, ci si poteva pensare il 29 Gennaio (è vero). Ora, verificata la gestione commissariale, le componenti vorrebbero riappropriarsi del loro mondo. Tommasi (con Calcagno) si è reso conto di aver barattato due sub-commissari per un commissariamento che non è servito a nulla. Anche le Leghe mirano a poter decidere del loro destino. Stanno identificando una figura super partes. Un manager, un “nome” nuovo, condiviso, che possa svolgere quei compiti di riforma di cui il calcio italiano avverte la necessità. Malagò-Fabbricini non ne sono stati capaci. In sintesi: un passo indietro, cari Malagò e Fabbricini, purtroppo per voi, avete fallito.
Penalizzazioni e dintorni in serie C. Impressionante l’ultima “raffica”. I “casi” Matera e Siracusa creano allarme sul futuro prossimo. Leciti i dubbi sulle iscrizione al prossimo campionato. Lo “zero” assoluto dell’Akragas certifica la necessità, immediata, di un rating appropriato alla categoria. Improntato sulla solvibilità e la sostenibilità. Sull’idoneità delle infrastrutture. Diversi impianti, delle neo promosse dalla Serie D, non risulterebbero essere a norma. Tra questi anche Rimini e Potenza. Le penalizzazioni inflitte al Gavorrano e al Mestre (due punti ciascuno) invitano a una riflessione. Entrambe erano state deferite per le medesime inadempienze di Santarcangelo (difeso da Eduardo Chiacchio, un “nume” in materia di diritto sportivo) e Pro Piacenza (difeso da Cesare Di Cintio, suo erede designato). La differenza (fondamentale) sta nel fatto che queste ultime sono state assolte. Il Mestre rischia ora l’esclusione dai play off. Il Gavorrano scala in classifica e peggiora la propria posizione in zona play out.
Senza Stile. La serie C, sul filo di lana, perde un valido protagonista. Capuano “cacciato” (questo è il termine più appropriato), in malo modo, dal presidente della Sambenedettese. Un licenziamento annunciato. Fedeli era alla ricerca del pretesto. Un rapporto difficile, mal coltivato, impossibile nella crescita. Si dirà che in casa propria ognuno è padrone di decidere come più gli aggrada. Con un distinguo: Capuano è arrivato da ottavo se ne va da secondo. Le espressioni “arroganti” usate dal patron, nella conferenza stampa che ha anticipato la cacciata di Eziolino, non possono essere condivise. Volgare e di pessimo gusto il riferimento a un ipotetico “stupro”, in panchina, all’addetta stampa. Offensive nei confronti della squadra. Denigratorie sul capitano (“un mercenario”) e sull’allenatore (“un perdente”). Nella foga del parlare, Fedeli non si è reso conto che stava bocciando se stesso e le scelte operate dai suoi collaboratori. Le sue ambizioni (vere?) di arrivare al primo posto e la convinzione di aver “costruito” una squadra competitiva che il tempo ha invece rivelato inadeguata. Capuano è un ottimo tecnico. Con pregi e difetti caratteriali universalmente conosciuti. Con altro modo di proporsi allenerebbe in Serie A. Fedeli e il suo staff queste cose le sapevano. Il loro compito era di arginarlo prima e sostenerlo dopo. Non ne sono stati capaci. Come non sono stati capaci di allestire un rosa veramente competitiva. Da primo posto. Fedeli vuole per sè spazi e meriti. Le “colpe” sono (sempre) degli altri. Fedeli che si definisce “pagatore” esprime soltanto la sua arroganza. Dimentica, “volutamente”, che assolve soltanto a un suo dovere. Per il resto anche lui, in tanti anni, quanto avrà vinto mai?
Con una sola considerazione: che bordello!