ROMA – Si accende lo scontro tra Governo e Regioni sulla gestione delle liste d’attesa in sanità. Nonostante l’uso condiviso della parola “rammarico” al termine della Conferenza Stato-Regioni, la frattura è evidente: al centro del dibattito, i cosiddetti poteri sostitutivi, ovvero la possibilità per lo Stato di intervenire in caso di inadempienze regionali.
I presidenti di Regione, all’unanimità, hanno chiesto un rinvio per chiarire i criteri che farebbero scattare tali poteri, definendoli un vero e proprio commissariamento. Ma dal Governo, rappresentato dal sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, è arrivato un secco no. Ora si apre una finestra di 30 giorni per tentare una mediazione. In caso di mancato accordo, l’esecutivo potrà approvare il Dpcm già annunciato, con la possibilità per le Regioni di ricorrere al Tar.
Il ministro Orazio Schillaci difende l’impostazione: “Il decreto è stato condiviso, i poteri sostitutivi sono una misura estrema a tutela dei cittadini, non un’ingerenza nelle competenze regionali”. Dura la replica del governatore toscano Eugenio Giani: “Questo decreto non prevede fondi, ma impone poteri coercitivi. Così si va verso un conflitto di attribuzione”.
La Conferenza delle Regioni ribadisce la piena disponibilità al confronto, chiedendo di definire insieme i criteri per eventuali interventi del governo. Intanto l’opposizione attacca: per Francesco Boccia (Pd) “è caos”, Chiara Braga parla di “favori al privato”, Giuseppe Conte accusa l’esecutivo di essere “impantanato”, mentre Luana Zanella (Avs) chiede le dimissioni del ministro Schillaci.
Dall’interno della Lega, il presidente lombardo Attilio Fontana nega tensioni con l’esecutivo, ma sottolinea: “Non servono solo più fondi, ma un ripensamento del sistema sanitario”. Una visione condivisa anche da Marco Alparone (Regioni): “Aumentare l’offerta senza criteri rischia di alimentare una domanda inappropriata”.
Il nodo resta irrisolto. E il rischio di un braccio di ferro istituzionale è più che concreto.
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