TARANTO: Tocca ai tifosi "sani" isolare i delinquenti
Ci risiamo. I tifosi tarantini (non tutti, sia chiaro) si divertono a fare bolle di sapone, ad andare a caccia di grilli e farfalle e a correre dietro a ghiribizzi pretestuosi. La storia si ripete come tutti gli anni, con le sue leggi amare: si fa di tutto per allontanare chi cerca di costruire qualcosa. Buono o brutto che sia. E poco importa se si chiamano Nardoni, Petrelli, Campitiello, Zelatore, Bongiovanni o Pincopallo. Gli ultras, quelli che erroneamente pensano di essere l'anima del tifo, non sono altro che cani sciolti e di bancata che si sono appropriati ingiustamente del titolo di sostenitori e hanno snaturato l'essenza vera del gioco del calcio. Perché sostegno significa aiutare, appoggiare, supportare e confortare. Tutto quello che quest'anno non si è visto per partito preso, per una palese antipatia. Bongiovanni e Zelatore hanno pagato e continuano a pagare lo scotto di trovarsi l'erba già falciata dai disastri delle precedenti gestioni. E se Campitiello è stato prima immeritatamente osannato come un santo e poi svillaneggiato come un vecchio satiro, il duo ha dovuto combattere con mulini a vento, nemici da tastiera, boicottaggi e malafede. Eppure, ci risulta che l'estate scorsa gli stessi tifosi, spalleggiati dalla Fondazione Taras, chiesero a questa dirigenza di intervenire per salvare le sorti calcistiche del Taranto, perché l'acqua oramai era giunta alla gola. E non si poteva correre il rischio di soffocare, non un'altra volta. Tra scapriolate e salti mortali, tra corse e rincorse affannate contro il tempo, si è imbastita una squadra dignitosa in grado di garantire un campionato all'altezza. È stato un fallimento, è vero. Ma questa presidenza non si è persa d'animo e, tra mille mugugni, ha rimesso mani al portafogli e ha sparato in alto, chiamando un tecnico rinomato e accaparrandosi calciatori che facevano gola persino alle squadre di Lega Pro. Un altro fallimento, è inutile negarlo. Tanti errori e molte leggerezze hanno compromesso l'obiettivo finale. Pur tuttavia, la società di Zelatore non ha mai preteso i grandi numeri sugli spalti, ha sempre dichiarato che sarebbe andata avanti in ogni caso, con o senza il pubblico. E quest'ultimo che fa? Aggredisce e minaccia i calciatori come i peggiori boss di mafia che si sentono dei “godfather” amministratori di giustizia divina, si scaglia contro i parenti dei giocatori, colpevoli di essersi preoccupati troppo per le sorti dei propri cari, fa squalificare lo stadio “Iacovone” perché la domenica successiva è impegnato a vendere birra e panini al concerto del 1° maggio (obiettivo strategico), buca le ruote del bus, lancia petardi e oggetti di ogni genere in campo o insulta pesantemente la presidentessa per strada. Questi non sono tifosi, sono delinquenti e il resto dei supporters dovrebbe capirlo per isolarli. E invece succede il contrario. Questi banditi vengono difesi ad oltranza, costruendo castelli di sabbia sulle reali intenzioni di chi gestisce il team locale. Si parla addirittura di pretesto per lasciare. Quale essere normale, dotato di intelligenza, sarebbe disposto a sperperare tempo, denaro e vita privata in queste condizioni? Nessuno, diciamolo a chiare lettere. Se dovessero andare via, farebbero bene. È da quell'11 novembre 2007, in occasione di Taranto-Massese, che soggiaciamo alle vessazioni e alle malefatte di questa marmaglia, perdendo in pochi colpi professionismo e larga parte del tifo.
Smettiamola di riempirci gli occhi per quel caleidoscopio di colori in curva che ci fa solo vagamente assomigliare ai Gauchos de Boedo, è solo apparenza. La loro non è passione, è solo voglia di mettersi in mostra e sballarsi. Riprendiamoci il nostro calcio e il nostro tifo, isoliamo i corpi estranei. Questo deve essere il nostro obiettivo. E se abbiamo voglia di contestare, possiamo usare la bocca criticando civilmente o fischiando, ma le mani devono stare al proprio posto perché non è con la violenza che si ottengono i risultati migliori. A buon intenditor poche parole. Noi il latino non l'abbiamo studiato.