Editoriale: Taranto, adesso basta con il vittimismo...
La tifoseria freme a suon di mugugni e brontolii di dissenso perché ha la perenne sensazione di sentirsi usata, maltrattata e presa in giro da tutti gli avventori che si sono avvicinati alla società del Taranto. Non è esente da questo trattamento il presidente Massimo Giove, arrivato meno di un anno fa alla direzione del club. Spesso, però, l’incessante rifiuto verso l’altro o il nuovo è autolesionistico, è come una battaglia quotidiana contro i mulini a vento. Non si può vincere nel modo più assoluto. Così si cade nella depressione, che si diffonde dispoticamente o alla chetichella, finendo per perdere energie inutilmente. Il nuovo patron rossoblù paga lo scotto di un’esperienza passata ingloriosa e l’intemperanza di una città che tutti gli anni conosce solo delusioni e insuccessi. Tuttavia per andare avanti è necessario mettersi alle spalle la cosiddetta sindrome di Calimero, quel vittimismo per certi versi patologico che ci spinge continuamente ad aver paura del fallimento, a trovare mostri laddove non ci sono o mettere in giro false voci per screditare solo perché tizio non è simpatico. Per carità, Massimo Giove non è uno stinco di santo - questo lo sa pure lui –, ma un’opportunità la merita. Solo per aver recitato l’eterno riposo alla precedente gestione meriterebbe una preghiera di lode. Con questo non vogliamo glorificare o demonizzare la sua figura. Non sia mai. Possiamo riconoscergli, però, impegno e attaccamento; non è tornato alla ribalta per fare soldi, anzi, ha dovuto persino pagare un ex allenatore, subendo un’inibizione, e tre calciatori “protestanti” che andarono via a seguito degli atti di violenza di alcuni facinorosi.
Ha lasciato inalterata la quasi totalità della rosa, eccetto Galdean e, per ragioni logiche, gli Under, così come richiedeva a gran voce la piazza; ha confermato sulla panchina quell’allenatore che tutti apprezzavano, ma per il quale ha avuto sempre qualche dubbio. Infatti, non appena ha capito che qualcosa non andava come si aspettava gli ha dato il benservito. Ha chiamato a sostituirlo Luigi Panarelli, un tarantino, giusto per avvalorare la pseudo-tarentinità, l’essere spartani, su cui in molti speculano. A livello organizzativo si è ben comportato, trovando una stretta sinergia con il Comune di Taranto e stipulando una nuova convenzione senza fiatare o lamentarsi come è successo sempre in passato.
È vero, il nuovo Taranto che si appresta a disputare il prossimo campionato di Serie D non è una corazzata. Non ci vuole un genio per capirlo. Ciononostante, ha tutte le carte in regola per fare bene. Forse non per stravincere, ma per vincere sì. Certo, manca l’attaccante, il goleador, il valore aggiunto. Le colpe, però, non sono sue. I profili scelti dall’allenatore hanno risposto negativamente alla proposta ionica. Non per soldi, ma per un mercato fortemente condizionato dal caos che ha scombussolato il calcio italiano. La delicata situazione di B e C ha contribuito a ingarbugliare gli affari. Basti pensare al caso Ripa, che dopo tante incertezze e titubanze ha accettato la proposta della Sicula Leonzio per non rimanere a piedi con il Catania.
Detto questo, ci teniamo solo a dire che serve una mentalità positiva e vincente per ottenere risultati soddisfacenti. Bisogna avere fiducia perché non ci sono alternative valide che ci spingano a pensare a una situazione migliore. La critica è sempre lecita e ben accetta laddove sia giusta e meritata, ma partire prevenuti, contestare a prescindere, nascondersi dietro ombre schive o profili fake non ci porterà a raggiungere alcun traguardo. Perché NOI – tifosi, giornalisti, società, calciatori – siamo il Taranto, non Massimo Giove.