Quando Iaco portò il Taranto in Serie A
Come ‘Sliding doors’, immaginando un destino diverso
Vi siete mai chiesti come sarebbe andata a finire se in quella maledetta notte tra il 5 e il 6 febbraio di 42 anni fa Erasmo Iacovone avesse evitato un destino così crudele? Se fosse ancora qui, sarebbe ugualmente un mito, ma per meriti sportivi. Lo immaginiamo davanti al camino acceso nella sua casa di Carpi, in compagnia della bella moglie Paola, dei figli e dei tanti nipoti. A uno di questi, il più appassionato di calcio, Erasmo racconta quando nei lontani anni Settanta riuscì a coronare il sogno di una città intera, Taranto, trascinandola in Serie A con i suoi gol. "Taranto mi rimarrà per sempre nel cuore", sussurra con un pizzico di emozione e quel timido sorriso al nipotino mentre lo tiene stretto sulle gambe. "Al Salinella sono diventato calciatore e ancora oggi sento nelle orecchie il frastuono dei gradoni in legno accompagnato da quello incalzante e roboante dei seggiolini in ferro della vecchia tribuna". Gli occhi di Erasmo si accendono in un misto di commozione e orgoglio. "Nonno, raccontami quando avete conquistato la Serie A", chiede il nipotino incuriosito. "Era la stagione 1977-78 - attacca Erasmo accogliendo l'invito -, in testa alla classifica c'era un Ascoli fortissimo, quello allenato da Antonio Renna che praticamente giocava un campionato a sè. Noi non eravamo fortissimi, ma il gruppo era tosto, affamato e soprattutto orgoglioso di rappresentare un popolo che ogni domenica, specialmente in casa, ci trascinava alla vittoria. Per tutta la stagione lottammo punto a punto con squadroni come Avellino, Catanzaro, Lecce, Ternana, Palermo, Sampdoria e Monza. Fu proprio a Monza, all'ultima giornata, che misi a segno il gol più importante del campionato e, perché no, della mia carriera. La partita era bloccata sullo 0-0, mancavano pochi minuti alla fine ed eravamo condannati a vincere se volevamo essere promossi in A. Lo stadio intero di era contro, tranne lo spicchio dedicato ai nostri. Per buona parte del match fummo poco brillanti, ma all'88 Franco Selvaggi riuscì a trovare un varco sulla corsia mancina. Qualcosa mi fece capire che poteva essere l'azione della svolta, così cominciai a correre con tutte le forze che mi erano rimaste. Franco arrivò sul fondo e mise palla in mezzo: ero stanco, anche un po' sfiduciato, ma appena in area rivolsi lo sguardo verso i nostri tifosi: erano tanti, sapevo che si aspettavano qualcosa di importante. Raccolsi le ultime energie, saltai quasi due metri da terra e di testa, la mia specialità, spinsi quel pallone in porta. Prima di esultare, mi voltai ancora una volta verso il popolo rossoblu: vedevo tifosi piangere di gioia, altri abbracciarsi in un tripudio generale. Corsi verso di loro e alzando le braccia al cielo gridai con tutta la voce che avevo: "Ce l'abbiamo fatta, siamo in Serie A". Il racconto viene bruscamente interrotto dallo scoppiettio della legna, davanti al quel camino Erasmo e il suo nipotino non ci sono mai stati, ma c'è Paola, sola, con la foto di Erasmo tra le mani e i pochi ricordi gelosamente custoditi nel suo cuore. (Di Gianni Sebastio per Lo Jonio).