Il fascino dell’open world nella sua evoluzione
Nel mondo del videogaming, come in molti altri contesti, si è spesso assistito a periodi nei quali un genere videoludico godeva di maggiori fortune rispetto ad altri suoi concorrenti. Si può pensare al battle royale, protagonista degli ultimi anni, oppure allo strategico in tempo reale, che negli anni ’90 ha vissuto il suo momento di maggior splendore. Vi sono poi altri generi che, declinati in un modo o nell’altro, attraversano tutta la storia del videogaming: per esempio gli shooter in prima persona, le avventure dinamiche o gli open world. Quest’ultimo in particolare è interessante: nonostante si sia abituati a pensare a titoli caratterizzati da grossi mondi di gioco, con la conseguente necessità di potenti e moderni hardware, quello dell’open world è un genere che affonda le sue radici fin nel passato del videogaming, quando si è da subito rivelato una delle espressioni più peculiari del mondo videoludico.
In linea di principio può essere considerato open world qualsiasi titolo caratterizzato dal proporre ampie mappe di gioco immediatamente accessibili nella loro interezza e caratterizzate da un approccio free roam, ossia che dà al videogiocatore la massima libertà nell’esplorare il mondo e dedicarsi alle missioni proposte. Partendo da tale definizione, è facile vedere i parallelismi con i primi veri antesignani dei videogiochi open world: le avventure testuali. Queste traducevano in videogioco gli intramontabili giochi di ruolo con carta e penna, offrendo quindi le medesime forme di libertà al giocatore: fra i vari esempi il più pertinente viene da Colossal Cave Adventure, addirittura del 1976, che come evocato già dal titolo richiedeva al giocatore di esplorare liberamente un’enorme caverna ricca di premi e incognite. La libertà data al giocatore si è velocemente rivelata come uno degli aspetti maggiormente distintivi di questo approccio, tanto da essere di ispirazione per i nuovi titoli resi possibili dai veloci progressi tecnologici. All’epoca del 2D, e precisamente nel 1986, tale libertà viene ripresa da The Legend of Zelda, primo capitolo della fortunata serie che già da allora mise in mostra le attrattive di un mondo lasciato alla libera esplorazione dell’utente. Per quanto semplice nella sua resa visiva, il mondo 2D di questo periodo permetteva di fare un salto qualitativo rispetto alle avventure testuali, aumentando il livello di immersione del giocatore.
Il passo successivo non poteva che essere il passaggio da 2D a 3D, e l’onore di averlo fatto spetta a una serie che già si era distinta nel mondo bidimensionale: Grand Theft Auto. Con GTA3, nel 2001, viene per la prima volta sviluppato un open world tridimensionale distinto dalla massima libertà concessa al giocatore, libero di esplorare una mappa urbana traboccante di attività. Proprio quella delle attività secondarie è un’esigenza che ha cominciato a rivelarsi pressante in questo periodo: allo sviluppo di mondi sempre più vasti segue l’esigenza di riempirli con attività significative, che possano essere attrattive per il giocatore. Numerosi sono stati quindi i titoli che hanno inserito attività come il poker: il fascino del passatempo, ben testimoniato ancora oggi dalla rete e dalle piattaforme che inseriscono il poker online fra i loro intrattenimenti di punta con tanto di guida a regole e punteggi, è sempre stato ben presente anche agli sviluppatori di videogame, ponendo le basi per un suo inserimento in titoli open world che vanno dal western di Gun all’Oceano Pacifico di Far Cry 3. È anche il caso di contenuti microgestionali, come per esempio attività economiche, utili a inserire nell’open world un ulteriore livello di sfida per il videogiocatore che attraverso l’attività secondaria ottiene risorse per migliorare l’esperienza di gioco complessiva.
Oggi il mondo dell’open world appare di fronte a un bivio: sfruttare la crescente potenza degli hardware per creare mondi sempre più vasti, oppure assestarsi sulle dimensioni e concentrarsi sui contenuti. La prima strada è quella percorsa dalla serie Assassin’s Creed: mappe sempre più grandi e che permettono l’inserimento di tantissimi contenuti, ma allo stesso tempo corrono il rischio di coprire con la quantità una scarsa originalità di fondo, con il videogiocatore che vive un senso di ripetizione deleterio per l’esperienza di gioco. La seconda strada è quella scelta da altri titoli come, per esempio, Elden Ring: l’ultimo lavoro di From Software ha portato i soulslike verso l’open world, creando un mondo vasto e denso di dettagli attraverso i quali emerge la storia del titolo, la quale quindi deve essere ricostruita dal videogiocatore attraverso l’esplorazione attenta della mappa. Si tratta solo del più recente esempio dei motivi grazie ai quali l’open world ha sempre affascinato il mondo del videogame, rivelandosi protagonista in ogni fase della storia videoludica.