Lavoro: Leone, ‘Taranto terra amara per i giovani, urgente una svolta’

Cultura, musica e spettacolo
30.10.2021 11:35

Siamo ad un punto in cui occorre svoltare al fine di favorire l'occupazione giovanile. Intanto riformare i tirocini curricolari e spingere verso i contratti di apprendistato ma che diano realmente serie opportunità di lavoro. Oggi, per facilitare la comprensione delle brutte esperienze lavorative vissute dai ragazzi, in particolare nel territorio tarantino, vi racconterò la storia di un giovane amico in cui molti si riconosceranno. Il giovane, laureato in ingegneria, è stato chiamato per un tirocinio/stage per fare esperienza nel suo settore: mesi impegnativi, di duro lavoro, vissuti sempre con la voglia di imparare. Improvvisamente, i datori di lavoro hanno chiesto al giovane tarantino che, da stagista, facesse anche le pulizie, rispondesse al telefono, portasse il caffè ai capi, facesse insomma cose che non spetta fare a uno stagista. Non entro in altri particolari, ma consiglio a tutti i ragazzi di denunciare e di non farsi sfruttare dopo anni di studio e sacrifici, bisogna lottare con tutte le forze e non abbandonare mai gli ideali. Per i giovani alle prese con le prime esperienze lavorative, l’orizzonte dello stage è infatti conosciuto e temuto, tanto che spesso è affrontato con una non velata disillusione, almeno stando alla narrazione condivisa dalle realtà associative e politiche che hanno fatto dell’emancipazione generazionale la propria cifra attivistica. Eppure, nei luoghi nevralgici del potere decisionale, i problemi legati agli stage non sono quasi mai contemplati. Quello del tirocinio è un tema nebuloso di cui spesso non si tiene conto nei ragionamenti di sistema sul mercato del lavoro; quelli, per intenderci, che guidano l’azione dei grandi partiti o dei sindacati confederali e che coprono la quasi totalità della copertura giornalistica sui temi del lavoro. Il percorso dello studente/neolaureato sembra dunque già prestabilito e passa per le forche caudine del tirocinio. Ciò sarebbe quasi auspicabile se effettivamente la strada garantisse o quanto meno rendesse concreta la possibilità di essere assunti. Al contrario, il sentiero da percorrere è tutt’altro che agevole e spesso si conclude semplicemente nel parcheggio della disoccupazione da dove era partito. Ma allora, se tanto gli stagisti lavorano come dipendenti, perché non agevolare i percorsi formativi nell’alveo del lavoro subordinato? Da un lato il tirocinio, che ora è sempre più spesso una sacca di sfruttamento e precarietà, rimarrebbe uno strumento utile per la formazione durante gli anni di studio, mentre dall’altro si riforma quello che diventerebbe l’unico strumento per inserire di fatto i giovani nel mercato del lavoro: l’apprendistato professionalizzante. La differenza fondamentale tra le due esperienze è che il tirocinio non concede alcuna tutela, mentre con l’apprendistato sono presenti tutte le tutele del contratto di lavoro dipendente: retribuzione, contributi, copertura assicurativa per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le malattie, l’invalidità e la vecchiaia, la maternità, l’assegno familiare e il sussidio di disoccupazione in caso di licenziamento. L’apprendistato, per come è stato concepito, dovrebbe già essere di per sé la modalità prevalente per i giovani di ingresso nel mondo del lavoro. Ma ciò non accade. Il suo insuccesso è attribuibile in parte alla concorrenza sleale del tirocinio (meno costoso e meno vincolante per le aziende), in parte a una rigidità normativa che spesso ne scoraggia l’attivazione (Giulio Leone, coordinatore del Psi di San Giorgio Ionico) 

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