Taglio alla C per scarse finanze, pochi talenti e faccendieri
La crisi del calcio di Serie C ha origini lontane. La sentenza Bosman, nel 1995, indicò il crocevia del cambiamento radicale. Impedì alle varie leghe dei paesi appartenenti alla comunità europea di porre un tetto al numero degli stranieri. L’Uefa tra l'altro, consentiva, allora, di convocare, per le sue competizioni, un massimo di 3 stranieri. Dopo quella legge fu possibile imporre limitazioni soltanto ai calciatori extracomunitari. La sentenza ebbe ripercussioni negative sui vivai. Le società, sopratutto italiane, manifestarono, da allora, la tendenza a preferire l'acquisto di stranieri rispetto alla crescita dei giovani del proprio territorio. Nel 2009 fu fatta un'indagine volta a rilevare la presenza e la percentuale di calciatori "indigeni" nei vivai dei principali campionati affiliati all'Uefa. Risultò che il torneo francese fosse quello con più giovani utilizzati. Il 30,3 per cento. All'ultimo posto il campionato italiano, con la percentuale del 12,8 di atleti del vivaio impiegati in prima squadra. Sempre riguardo alla Serie A, si evidenziò che prima dell'avvento della sentenza, il campionato ospitava soltanto 53 stranieri. Nel ‘99 ne faceva registrare 155. Nel 2009 se ne contavano 228. Pari al 41 per cento del totale calciatori. Nel dettaglio, l'Inter risultò avere la rosa con meno italiani (5 su 27) mentre la Sampdoria vantava il minor numero di stranieri (4 su 25). Le batoste del calcio italiano nelle coppe europee e il suo costante declino nel ranking Uefa hanno anche una spiegazione statistica: i club della Serie A sono in coda alla classifica continentale (trentunesimi su 31) per l'impiego in squadra dei calciatori provenienti dai vivai. I club si confermano poco attenti alle risorse nazionali. Sono infarciti di stranieri, più di Germania e Spagna che dominano la Champions League con parecchi indigeni. Una diagnosi che mette a nudo le pecche di una politica niente affatto lungimirante. L’esterofilia esasperata del campionato italiano è testimoniata dal quinto posto per l'impiego dei calciatori stranieri. L'Italia è prima nella graduatoria di chi trascura i propri talenti. Il dato diventa imbarazzante alla lettura sulla percentuale dei calciatori provenienti dai vivai. I club italiani sono all'ultimo posto. Ben lontani da Germania, Inghilterra, Francia e, naturalmente, dalla Spagna. Il ritardo nella formazione, accumulato dai grandi club italiani, nei confronti di quelli stranieri che allevano in casa i propri talenti (Barcellona e Manchester United su tutti), difficilmente potrà essere colmato. Quanto sopra sta anche a dimostrare che investire nella promozione del calcio giovanile (come appunto avviene in altre nazioni) non costituisce alcun freno all’ottenimento dei risultati sportivi.
Un preambolo doveroso. Necessario. Aiuta a chiarire gli aspetti negativi del nostro calcio. I mali, tecnici e finanziari, della Serie C traggono appunto origine dagli anni Novanta. La terza serie, da allora, non fa più formazione. Ha smarrito la sua funzione primaria. Non è più l’officina che addestrava, in proprio, giovani talenti per la massima serie (Roby Baggio che giocava a Vicenza prima di indossare la maglia della Fiorentina). Fabio Grosso che portai a Chieti prima di essere trasferito al Perugia (ancora non sapevamo che avrebbe fatto diventare azzurro il cielo sopra Berlino). Quei trasferimenti portavano denaro vero nelle casse dei club di categoria. Quella sana usanza è tramontata. Sostituita da un “palliativo”. La valorizzazione. Un “rimborso spese” (giusto dargli questa definizione) sulle cessioni in temporanea (prestiti) delle seconde/terze scelte che provengono dalle serie maggiori. Neanche corrisposto nella stagione di utilizzo, ma rateizzato in quella successiva. Spesso sono “pacchi” destinati, nel volgere di poco tempo, ad appendere al chiodo gli scarpini. Un sistema “tribolato” anche dal punto di vista finanziario, quello della Serie C. Soffre della carenza di circolante. Anche questo un problema che ricade a pioggia sui club della categoria. I tagli milionari che il Coni ha operato sui fondi da devolvere al calcio impoveriscono il sistema. L’avvento dei “faccendieri” (quelli identificati come turisti del calcio) nella terza serie peggiora la situazione.
Vicenza, Arezzo, Akragas, Lucchese sono, nel presente, le società sulle quali si stanno accentrando le attenzioni più evidenti. Il loro percorso per arrivare a fine stagione appare arduo. Gabriele Gravina. nel tentativo di correre ai ripari e per fronteggiare intrusioni non raccomandabili, presenterà all’approvazione del prossimo Consiglio Federale una serie di istanze innovative. Desidera, Gravina. attuare la politica della qualità. Nel tentativo di scoraggiare i tipi come quelli che si sono avvicinati, per esempio, all’Arezzo. Quei desiderata andrebbero a integrarsi nel codice di autoregolamentazione della categoria. L’intenzione è quella di testare l’onorabilità e la solvibilità di chi si appropinqua al calcio. Monitorare, in tempi ristretti (massimo 7 giorni), chi acquisisce quote sociali anche nella misura del semplice 0,01 per cento. Imporre inoltre, a chi acquista un club, il deposito a copertura della massa debitoria, di una adeguata garanzia bancaria (Antitrust permettendo). Divieto, a chi si trova in carenza con il pagamento di stipendi e contributi, a operare in acquisizione nella prossima campagna trasferimenti. Significando che agli stessi è già stata bloccata l’erogazione di provvidenze, mutualità e diritti. L’applicazione immediata di quei criteri alzerebbe il livello della qualità, ma comporterebbe l’inevitabile taglio del format. Allo stato attuale, infatti, non più di 35/40 club avrebbero i titoli necessari e sarebbero in grado di sopravvivere. Sulla fattibilità di quanto sopra bisognerà in ogni caso verificare. Il Consiglio Federale, dopo le dimissioni di Carlo Tavecchio, ha il potere di deliberare solo per atti di gestione ordinaria.
Non diversa la situazione in Serie B. Il presidente Balata si è espresso pubblicamente sulla necessità di implementare le entrate finanziarie. Ha fatto riferimento a possibili erogazioni derivanti dagli avanzi (12 milioni di euro?) della gestione della Federcalcio. Tre dei quali già destinati a Coverciano. Su questo argomento Tavecchio non si era mai pronunciato con promesse. In ogni caso, sarebbe una decisione che dovrebbe essere eventualmente assunta in Consiglio Federale. Non trascurando che bisognerà procedere a una verifica dei conti. Perché a quel denaro si era sì accennato, ma prima che Malagò tagliasse al calcio gli ultimi 4 milioni. Tutta da verificare, pertanto, l’entità dell’intervento. Che dovrà risultare necessariamente compatibile con l’avanzo della gestione della Figc e con la disponibilità accertata dei fondi provenienti dal Coni. Il tutto sta a significare, tradotto con parole povere e grande capacità di sintesi, poco o niente.
Buon anno a tutti.