Un primo set perfetto, un secondo con qualche sofferenza. Questo in sintesi il 6-1, 6-3 rifilato da Roberta Vinci alla statunitense Christina McHale, numero 55 Wta e di 9 anni più giovane, che in passato era stata capace di esaltarsi contro big, Serena Williams compresa. Forse il tutto si spiega con due cifre: 75% di prime palle nel primo parziale, 43% nel secondo. “Non è facile mantenere per tanto tempo la stessa percentuale al servizio - sottolinea la 33enne tarantina ad Angelo Mancuso per Federtennis.it - anzi quel 75% non è da me… La McHale nel secondo set lei ha giocato meglio – ha raccontato la Vinci – è un’avversaria dura, ha un gran diritto e un ottimo servizio. E’ stata lei a prendermi le misure nel secondo set, non è dipeso da un mio rilassamento”.
Venerdì al terzo turno troverà la 21enne tedesca Carina Witthoeft, numero 102 Wta. “Non ci ho mai giocato contro - racconta Roberta - tira molto forte e serve bene. Certo se è in giornata e mette tutto dentro allora è dura. Dovrò variare molto il mio tennis, farla giocare in affanno, scomoda, e far valere la mia maggiore esperienza”.
Il peso dei punti della finale da difendere c’è e si sente: “Certo ora la tensione è diminuita, ma perché ho appena finito di giocare e ho vinto. Poi venerdì, prima di rientrare in campo, salirà di nuovo… L’anno scorso a New York ho vissuto uno dei momenti più belli della mia vita: mi piacerebbe ripetermi, ma non sarà facile. Meglio ragionare un passo alla volta”.
E c’è quel tendine della gamba sinistra che le dà qualche patema: “Va meglio, mi sto curando e il giorno di riposo serve molto, per questo ho preferito non giocare anche il doppio. Nel giorno di pausa mi posso allenare non più di 40 minuti. Dopo Rio avevo molto dolore, ma ho preferito rischiare e non fermarmi perché poi perdi il ritmo partita ed è difficile ritrovarlo. Non potevo fermarmi proprio alla vigilia degli US Open, era d’accordo anche il mio coach Francesco Cinà. Certo quando il torneo si concluderà dovrò fare degli accertamenti per risolvere il problema”.