Lutto: Martina Franca piange la scomparsa di Mario Laudisa

Calcio Varie
Redazione
21.07.2016 16:47

“Pronto?” “Salve signor Laudisa, sono Carlo Colucci di Blunote-punto-it”. Era la stagione 2003/2004, quella del post spareggio playoff di Pescara. Non avevo ancora girato i 18 e cercavo di conciliare l’ultimo anno di scientifico con quella che sarebbe diventata una passione. Blunote mi aveva dato l’opportunità di sentirmi giornalista, pur privo di esperienza. “Allora, Carletto, durante il campionato funziona così: in settimana pubblichiamo ogni giorno il borsino sull’allenamento, oltre a un’intervista”. “Ah, ok Direttore: ma io non ho ancora la macchina e la squadra si allena sempre fuori città, al Pergolo”. Avevo bisogno di un interlocutore affidabile, da chiamare ogni giorno per il borsino. Provo con Veronica, l’addetto stampa, come al solito gentilissima: “Carlo, purtroppo non sono sempre allo stadio: ti do questo numero, è di Mario Laudisa, l’accompagnatore della squadra. E’ sempre con il mister e i giocatori”. Verissimo, sapeva sempre tutto il sig. Laudisa. “Signor Laudisa, buonasera: sono Colucci di Blunote. Mi ha dato il suo numero Veronica e avrei bisogno di alcune informazioni sulla squadra”. “Prego, mi dica”. “Allora, Lisuzzo si è allenato oggi o è ancora fermo? Danucci, invece, ha fatto sempre del differenziato?”. E lui mi diceva tutto; ma proprio tutto. “Grazie mille signor Laudisa. Senta, posso chiamarla anche domani?”. “Certo, non si preoccupi”. E così andammo avanti per i primi mesi, alla fine di ogni allenamento. Con il sottoscritto che si faceva ogni giorno sempre più pressante nelle proprie domande e il signor Laudisa che si adeguava puntualmente, con il garbo e l’eleganza che lo contraddistinguevano. La domenica, poi, ci si incrociava negli spogliatoi per le interviste del post partita, ma il coraggio di avvicinarmi e presentarmi ancora non c’era. Temevo che, vedendomi così giovane, potesse poi non darmi tutte quelle informazioni che, grazie a lui, solo io ricevevo. “Guardi, non so se questa settimana facciamo amichevole a Putignano o a Castellana Grotte: ci stiamo sentendo con i loro dirigenti, ma domattina dovrebbero farci sapere. Altrimenti al Pergolo in famiglia”. E io, lì, che dall’altra parte del telefono appuntavo tutto. E più passavano i giorni e più temevo che il d-day fosse vicino. “E’ impossibile che sia sempre così gentile e non mi abbia ancora mandato a male” mi ripetevo alla fine di ogni telefonata. E, invece, il signor Laudisa era sempre disponibile, e anzi, col passare del tempo, si adeguava, suo malgrado, al tenore di accuratezza delle mie richieste. “Oggi da una parte ha messo (Auteri, il tecnico, ndr) Narciso, D’Alterio, Erra, Goisis e Varriale e, dall’altra, quello che dovrebbe essere l’attacco titolare, con Mitri e Da Silva: aspetti che le prendo il foglio dove mi sono scritto tutti i nomi”. E, uno per volta, scandiva i ventidue che Auteri aveva provato prima da una parte e poi dall’altra, con la solita precisione nell’indicarmi se si era trattato di una partitella a tutto campo o a campo ridotto. E con la solita incertezza sul nome del bergamasco Goisis, che a fine stagione sarebbe diventato, per buona pace di entrambi, ‘Gois’.

Una stagione è lunga, specie se si è alla prima esperienza. Mancava poco alla Pasqua e a me sembrava essere trascorsa una infinità. Un pomeriggio, al termine di una delle sempre più frequenti interminabili telefonate, ricche come consuetudine di dettagli su ogni aspetto tattico della seduta di allenamento, gli faccio: “Guardi signor Laudisa, la redazione le è molto grata e, in vista della prossima festività, vorrebbe omaggiarla con un pensiero che speriamo possa esserle gradito”. “Mi creda, non ce n’è bisogno”. “Si figuri, lo facciamo con piacere”. “E allora d’accordo, vi ringrazio”. Sarebbe stato, quello, il mio modo per disobbligarmi, sia pur in piccolissima parte, nei suoi confronti: presi di nascosto da casa una delle tradizionali colombe pasquali e gliela portai. Il ghiaccio era definitivamente rotto e, finalmente, avrei potuto anche chiedergli una maglia ufficiale (in tempi in cui il merchandising era utopia, ndr). Così feci, a due settimane dall’ultima partita di campionato. Mi chiese qualche giorno di tempo, per poi richiamarmi e darmi appuntamento sotto la sua abitazione: aveva con se il completo da gioco utilizzato quell’anno come prima maglia. Era la numero 6, non una di quelle maglie con numeri “strani”, dal 12 in poi. D’altronde era persona attenta ai particolari. Come quando continuava sempre a darmi del lei, pur potendo io avere l’età dei suoi nipoti e nonostante il rapporto di maggiore confidenza che negli anni si era costruito. Era persona umile, lui che poteva permettersi di guardare tutti dall’alto del suo record di presenze in maglia biancazzurra (oltre 400 in 18 anni, dal 1955 al 1974), lui che in quel Martina era l’unico dello staff a non essere a libro paga. Se n'è andato un signore d’altri tempi.

Ricordo di Carlo Colucci, storico collaboratore di Blunote

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