Ilva: I Genitori Tarantini replicano all’ex ministro Carlo Calenda
Come genitori, come tarantini, come italiani non possiamo attendere in silenzio che passi la Pasqua. Per quanto ci riguarda, una risposta al dottor Carlo Calenda deve essere data subito. Adesso.
Il dottor Carlo Calenda, a colpi di tweet, rende noto il suo pensiero sull’eventuale blocco della trattativa per l’acquisizione dell’Ilva. “Taranto diventerebbe una seconda Bagnoli”, dichiara. Questa frase non offende Taranto, non offende Bagnoli, ma serve solo a ricordare come per un quarto di secolo Governi e Parlamenti della Repubblica italiana abbiano dato e tolto, promosso ed ostacolato, promesso e rimangiato. Il sito napoletano di Bagnoli, una volta chiusa l’acciaieria, sarebbe dovuto essere bonificato sotto il controllo dello Stato. Di questa bonifica restano denunce ed arresti di politici e camorristi, morti e malattie tra cittadini ed ex operai, disoccupazione e ambiente infetto. In due parole: corruzione e concussione.
Lo stesso Calenda, poi, si sofferma sui 20.000 (a suo dire) posti di lavoro che si perderebbero in caso di mancato accordo. Un bluff troppo spesso usato e che mostra segni di usura: Carlo Calenda ha utilizzato la scusa di difendere i posti di lavoro solo per tenere in vita un’acciaieria obsoleta ed assassina. Se la cosa non fosse drammatica, ci sarebbe da ridere. Pensare che il numero di occupati cresca o diminuisca a piacere ci dà la cifra del personaggio che per un certo periodo di tempo è stato un ministro della Repubblica italiana; lo stesso ministro che ha voluto riconoscere l’immunità penale per i prossimi acquirenti, che avrebbe accettato oltre 5.000 esuberi proposti da Arcelor-Mittal, che avrebbe chiuso tutt’e due gli occhi sull’azzeramento dei contratti in essere. Lo stesso ministro che ha dichiarato di aver assegnato la vittoria ad Arcelor-Mittal solo per il semplice fatto che la cifra proposta da questi ultimi sarebbe bastata a rifondere le banche creditrici. Una cosa ci suona strana: gli esuberi, in altre parti d’Italia, sono stati impiegati nelle bonifiche; a Taranto, rimarrebbero in mezzo ad una strada. Strano davvero.
Come tarantini, possiamo parlare di oltre ventimila vittime della “produzione strategica per la nazione”; come genitori piangiamo i nostri figli; come figli, i nostri genitori. Come tarantini, piangiamo le offese alla nostra terra, la partenza dei giovani più valenti, la disoccupazione arrivata a percentuali inaccettabili per colpa dell’industria, vera palla d’acciaio al piede che impedisce uno sviluppo compatibile con le peculiarità della nostra provincia. Piangiamo per le offese che il minerale di ferro sparge sui marmi dei sepolcri dei nostri defunti, colorandoli di sporco. Piangiamo per il nostro mare, violentato per permettere la produzione venefica. Un’intera provincia della democratica Italia ridotta in ginocchio, senza più dignità e rispetto, per favorire l’impresa privata travestita da “produzione strategica per la nazione”.
E cosa c’è di strategico in una produzione che necessita di materie prime acquistate all’estero, arricchendo quegli stati, e si carica di spese sanitarie ed ambientali insostenibili (e forse proprio per questo non sostenute). Già intorno al 1910, l’economista Luigi Einaudi, per riferirsi a chi approfittava delle leggi dello Stato per arricchirsi ai danni della collettività, aveva coniato un termine affascinante: “trivellatori di Stato”. E’ interessante ricordare che lo stesso Einaudi scriveva che “i primi trivellatori di Stato sono i produttori siderurgici”. E’ passato oltre un secolo, ma nulla è cambiato, se non l’accanimento terapeutico verso un morto (l’Ilva di Taranto) a cui ancora si regala ossigeno, togliendolo ai vivi.
La produzione di acciaio non è strategica, in qualunque modo si voglia realizzare. E’ un costo immensamente alto per una nazione che non vanta più neppure una grande industria meccanica. Se ne è accorto il mondo intero, tranne il dottor Calenda e i suoi sottoposti diretti.
Non torni più ad offendere, questo signore, i napoletani, i tarantini e tutti gli altri italiani che vivono (o tentano di sopravvivere) in tutte quelle zone del nostro “Bel Paese” violentate fino ad essere dichiarate dal Governo “Siti di Interesse Nazionale”.
Genitori Tarantini