Olimpiadi/Ciclismo: Viviani vince uno storico oro nell'omnium

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Redazione
15.08.2016 23:42


n oro atteso 20 anni. E finalmente eccolo. Meraviglioso, come sa esserlo un oro cercato così a lungo. Elia Viviani se lo mette al collo quattro anni dopo la beffa più atroce della sua carriera, compagna di tante sue notti insonni: da primo a sesto nell'ultima prova dell'omnium di Londra, dal sogno di un podio a portata di mano all'incubo di una medaglia olimpica sfumatagli davanti al naso, anche se allora non era il Viviani di oggi. Non era così forte, non era così deciso, non aveva preparato con la stessa cura in ogni minimo dettaglio questo secondo assalto alla gloria. Oro, davanti al rivale Mark Cavendish, che gli aveva soffiato il titolo mondiale con una volata beffa cinque mesi fa a Londra, e al campione uscente Lasse Norman Hansen. E poi le lacrime, l'abbraccio a mamma Elena e a papà Renato in tribuna, il tricolore da sventolare al mondo. Tricolore che ora conta ben 23 medaglie (8-9-6).
CADUTA — Più forte anche di una caduta, che avrebbe potuto rovinare tutto, quando a 108 giri dalla conclusione della corsa a punti decisiva Park Sanghoon si è urtato con Cavendish e l'azzurro non ha potuto evitare di rovinare addosso al sudcoreano: ammaccato, Viviani si è rialzato prontamente ed è tornato in corsa e, grazie alla neutralizzazione, è tornato nel clima della gara. Pronto per dare di nuovo battaglia e andare a prendersi 'sta benedetta medaglia. Ma è chiaro che quel capitombolo gli ha regalato attimi di paura.
INIZIO IN SALITA — Due giornate perfette, iniziate peraltro in salita, perché quel settimo posto nello scratch d'apertura vinto dal danese campione uscente Norman Hansen, guarda caso alle spalle di tutti e sei i rivali che egli stesso aveva indicato come i più pericolosi nella corsa al podio, non era certo il miglior viatico per cominciare il viaggio verso l'oro. Ma l'omnium si costruisce anche con la pazienza, senza farsi prendere dal panico per un piazzamento inferiore alle attese. Ed Elia proprio lì, con quel settimo posto, ha confezionato la sua vittoria. La parola d'ordine era "step by step", "passo dopo passo".
INSEGUIMENTO SUPER — A fugare ogni dubbio sulle sue chance ci ha pensato già la seconda gara, l'inseguimento, nella quale il veronese - il trascinatore della pista azzurra in questa rinascita che ha catapultato anche il quartetto in una nuova dimensione - ha piazzato un fantastico 4'17"453, il suo miglior tempo di sempre, con un progresso di quasi 3", finendo terzo dietro ad Hansen e a Cavendish.
ELIMINAZIONE DA MANUALE — Poi il consueto capolavoro nell'eliminazione, la prova in assoluto a lui più congeniale, quella in cui non finisce mai oltre il terzo posto e che qui lo ha visto vincitore davanti al francese Boudat e al colombiano Gaviria, il vincitore degli ultimi due Mondiali e dato da molti come il grande favorito. Un successo che ha catapultato il pupillo del c.t. Marco Villa al secondo posto della classifica generale dopo la prima giornata, a 2 sole lunghezze dallo stesso Boudat e 8 meglio di Cavendish.
IN TESTA — La giornata decisiva si è aperta con il sorpasso, grazie al terzo tempo (personale limato di 3 decimi) nel chilometro, quella che un tempo era il tallone d'Achille del veronese e che ai Giochi di Londra - quando ancora era la prova conclusiva dell'omnium - gli costò la beffa del k.o. Stavolta, invece, è diventata la gara decisiva a proprio favore, con tanto di balzo al comando della classifica, con 14 punti su Boudat e 16 su Cavendish, prima dell'ulteriore allungo di 2 lunghezze sullo stesso Cavendish al termine della quinta prova, giro lanciato, chiuso con il secondo posto e un altro primato personale (12"660).
CORSA A PUNTI — Ed eccoci al gran finale. La corsa a punti, che tutto poteva ancora ribaltare. Una lotta pazzesca, Elia sempre in testa ma braccato da Cavendish, poi da Gaviria e da Hansen capaci di prendere i 20 punti del giro di vantaggio, con Boudat pronto a fare la mina vagante. Punto a punto, coronarie al massimo, poi alla volata numero 14 i 5 punti della medaglia pressoché sicura, e dieci giri dopo una altro sprint vinto a mettere le mani sull'oro. Perché a quel punto solo una caduta - un'altra? Non per carità - o il giro preso da Cavendish o Hansen, ormai esausti, avrebbero potuto negargli la gioia.
(Gazzetta.it)

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