L’editoriale: Minacce, giocattoli e finti martiri...

TARANTO
Antonio Bargelloni
04.10.2017 01:21

Parlare di calcio nella città figlia della Magna Grecia è sempre più difficile. Da un anno a questa parte le cronache sportive (invero poco esaltanti) del pallone rossoblù in riva allo Jonio (va bene con l'iniziale J, a dispetto dei puristi) vengono affogate dalle vicende che si svolgono ben al di fuori del rettangolo di gioco, facendo vergognare una tifoseria già offesa dai risultati.

La giornata di martedì 3 ottobre ce ne ha regalate due. Una ormai stucchevole, ossia il duello a colpi di tastiera tra l'A.P.S. Fondazione Taras e i soci di maggioranza sui conti della società, su cui è difficile parlare: ogni parte dà la sua versione dei fatti. Per commentarla in breve con il sorriso sulle labbra, il solito sollecito che fa... il solletico.

L'altra farebbe rabbrividire, ma anche in questo caso a noi non riesce altro che sorridere. Perché quel fantoccio decapitato di Bongiovanni appeso su un cavalcavia della città, corredato da un aggettivo che ne mette in dubbio... le nobili origini, non merita commenti seri. È chiaramente opera di un poveraccio (o più d'uno) che invece di esprimere civilmente il proprio dissenso sceglie il plateale gesto dal vago sapore minatorio. In realtà la minaccia è nulla. Sullo Ionio (stavolta con la I, per non scontentare nessuno) l'Isis (sempre con la I) non ha attecchito e il poveraccio, immaginiamo, non andrebbe oltre i classici sputi e pugni alla cieca, come avvenne al malcapitato Blasi (ora osannato anche dai puristi della lingua italiana), ma solo se accompagnato da altri poveretti.

Merita un commento più approfondito e serio il comunicato di solidarietà di squadra, staff tecnico e collaboratori, gli stessi estensori del comunicato successivo al tentativo di vendita delle proprie quote al simbolico prezzo di un euro da parte dei soci di maggioranza, nello scorso luglio. Allora, con quell'accorato comunicato si chiedeva a  Zelatore e Bongiovanni di non cedere alle volontà della piazza e mantenere il comando della nave: appello andato a buon fine, ma c'erano pochi dubbi su un esito diverso...  Stavolta, nel comunicato si auspica di tornare a giocare in un clima di serenità e tranquillità. Beffardo invito. Perché, interpretato tout court, è rivolto all'ambiente esterno. E andrebbe invece rivolto all'interno, magari proprio agli attuali soci di maggioranza. Perché è ormai palese che la mancanza di serenità e tranquillità, da almeno un anno a questa parte, sia stata causata proprio dai loro atteggiamenti. Nei confronti dei propri collaboratori innanzitutto: in questi mesi, chi non la pensava come loro è stato estromesso o messo nelle condizioni di lasciare. Blunote, ma non solo questa testata, ha spesso raccolto le testimonianze di chi ha mollato. Con la tifoseria, invece, l'atteggiamento è stato ondivago: esaltata nel giorno del ripescaggio e a ogni bella vittoria (compreso il 2-0 sul Foggia), accusata di scarso attaccamento e indifferenza (termine utilizzato anche in quest'ultimo comunicato) durante le ultime due campagne abbonamenti e nei periodi bui della squadra. 

Atteggiamento da regime totalitario, infine, nei confronti della stampa: chi scrive e parla bene del club e della squadra è ben accetto, chi critica resta fuori dallo stadio.

Tornando ai tesserati, farebbe bene ricordare il numero di allenatori passato in questi mesi sulle sponde dello Ionio: lavorare con la spada di Damocle di un possibile esonero dopo due sconfitte non è ideale per qualunque tecnico...

Farebbe bene anche ricordare, infine, i “fatti” del 22 marzo, quel blitz nei confronti di tre calciatori per il quale al club è stato riconosciuto un ruolo importante: la recente inibizione per Elisabetta Zelatore e per il delegato ai rapporti con la tifoseria, ottenute dalla Procura Generale dello Sport in sede di patteggiamento per il famoso pesante comunicato nei confronti della squadra (già, la squadra) dopo la sconfitta di Messina, testimoniano che il “clima di terrore” non è nuovo da queste parti e non è stato causato dall'ambiente esterno...

Questa testata non vuole giustificare certi episodi, ma cerca di evitare che chi è abituato a vedere nemici dappertutto possa d'un colpo assurgere a “martire” della causa calcistica. Qui non ci sono martiri, il calcio è sempre un gioco, non una guerra. Un gioco magari preso troppo sul serio, come accade a Taranto e più in generale in Italia. Ciò che non accade in altre discipline sportive: le retrocessioni e altre situazioni “strane” vengono vissute senza drammi. Come nella pallavolo, sport che da queste parti ha visto protagonisti gli stessi attuali soci di maggioranza del Taranto FC: capaci di ottenere grandi risultati, ma anche di prendere decisioni incredibili come lo spostamento della sede di gioco da Taranto a Martina Franca (con tanto di cambio dei colori sociali da rossoblù a biancazzurro), o la vendita del titolo sportivo a Castellana Grotte. Decisioni comuni in certe discipline sportive e che hanno probabilmente una giustificazione plausibile, ma che nel calcio sarebbero impensabili. Perché il calcio è un gioco, ma una squadra di calcio non è un giocattolo.

Casertana-Virtus Francavilla 0-2: La sintesi di Sportube
Fantocci e manichini, corsi e ricorsi storici del calcio