Fuori Campo: Trasferte vietate, la resa dello Stato italiano
L'Italia delle repressioni e dei divieti è abbarbicata alla greppia partitica e burocratica. Le istituzioni non si assumono responsabilità e alzano barriere protettive che ledono i cittadini. È il caso del divieto di trasferta nelle manifestazioni sportive, specie nel calcio, un fenomeno che si sta espandendo a macchia di leopardo. Con il decreto legge 119/2014 si contrasta il fenomeno di illegalità e violenza nel corso delle competizioni agonistiche. Nella fattispecie, il Prefetto o il Ministero dell'Interno possono disporre l'interdizione per una durata non superiore a due anni o l'apertura del settore ospiti degli impianti sportivi in cui si svolgono gli incontri di calcio individuati in relazione al pericolo di turbativa dell’ordine pubblico. Con lo stesso decreto, è disposto il divieto di vendita di titoli di accesso ai medesimi impianti sportivi nei confronti dei residenti della provincia delle squadre ospiti interessate. La disposizione può, inoltre, inibire l’accesso ai soggetti appartenenti alla tifoseria ospite, in caso di precedenti (e gravi) episodi di violenza commessi in tali occasioni, ed in caso di potenziale (futura) minaccia per l’ordine pubblico.
Insomma, si tratta di politiche soffocanti o deterrenti volte a proteggere la cosiddetta sicurezza pubblica, ma che in realtà danneggiano il principio basilare del Trattato di Schengen sulla libera circolazione di tutti i cittadini. La prevenzione generale e la tutela dell'ordine pubblico potrebbero essere controllate in altro modo, magari con un maggiore impegno o sforzo, però si sa, meglio tenere le mani in tasca piuttosto che in movimento. Lo stato di immobilismo in cui è stato indotto il paese italiano è frutto di una maldestra gestione governativa, sempre pronta a reprimere pur di non correre rischi. E alla fine pagano i tifosi, non gli ultras. Quelli che seguono la squadra del cuore per passione e non per sballarsi. Pagano le società, che perdono parte di quegli incassi che consentono loro di vivacchiare.
A Taranto i sostenitori hanno dovuto far fronte a numerosi stop: alcuni legittimi come Bisceglie in Coppa Italia o Nardò, altri imbarazzanti come quelli di Picerno, Aprilia e Isola Liri. Sembra che la proibizione sia dettata da un banale lancio di monetina piuttosto che dalla volontà di prevenire un pericolo.
All'estero la questione è regolarizzata meglio: sono vietati fumogeni, torce, invasioni di campo o cori razzisti, ma raramente si giunge a una negazione a priori. In particolare, gli stadi sono stati modernizzati e le dirigenze sono state responsabilizzate, assumendosi il compito della sorveglianza della struttura ed evitando rapporti con i tifosi facinorosi, pena sanzioni pesanti.
Se nel calcio il divieto di trasferta è ormai all'ordine del giorno, la pratica si sta allargando anche negli altri sport. Patetico è il caso della Final Eight di Coppa Italia di hockey tra le compagini di Viareggio e Lodi: l'autorità, infatti, ha imposto il divieto congiunto ai tifosi di prendere parte sugli spalti alla gara che vedeva contrapposti toscani e lombardi.
Bisogna capire che lo sport non è un semplice gioco in cui ci si diverte e basta. È molto di più. È scuola di vita, insegna la pazienza, la compostezza, il rigore, la concentrazione, l'abnegazione, l'amore per il successo e la lotta fino all'ultimo istante. E se viene ammanettato come un malfattore qualunque, non ha ragione di esistere. E non ci sono tessere del tifoso che reggano perché, dal 2009 ad oggi, la percentuale di spettatori negli stadi è notevolmente diminuta. Basterebbe organizzare un servizio di ordine pubblico adeguato e ostentare un pizzico di buonsenso, che non guasta.