Arezzo e i disastri in Serie C confermano: le riforme non possono attendere… le reponsabilità neppure
Un calcio con le caviglie malandate. Tanto da non poter giocare. Quello della Serie C. Afflitto da una “zoppia” divenuta congenita. Frutto di veleni e di pochi soldi. Di poca stabilità e di scarsa solvibilità. Un sistema esasperato dalla crisi (finanziaria) che coinvolge tanti club. Si attendono a breve gli esiti (Covisoc) della recente chiama di metà marzo. Diverse le società in carenza di ossigeno (liquidità) che rischiano di arrivare già esauste alla fine della corrente stagione. Oberate al punto di non essere più capaci di ripartire (iscriversi) nella prossima. Per più di qualcuno il “respiro” è già corto. Diversi i casi in cui, a sostegno, è dovuta intervenire la Lega. Erogando oggi, a richiesta anticipata, le “provvidenze” previste per giugno.
Gabriele Gravina si trova a gestire la precarietà (prolungata) del momento. Obbligato, per di più, a parare rimostranze e malcontenti. Spesso tra due fuochi, assume decisioni che alcuni presidenti intendono contestare. Di sovente per amore di parte. Le vicende che hanno visto coinvolto il Modena, che hanno messo in crisi il Vicenza e che si sono ripetute più recentemente ad Arezzo sono quelle sulle quali si è aperto il dibattito più acceso.
Nello specifico. Il caso Arezzo. Un iter di procedure che ha dato la stura alle polemiche. Club dalla tradizione sportiva certamente meno storica ed eclatante di quella amaranto, ma virtuoso modello dal punto di vista della gestione generale (Gavorrano per fare un esempio), lamentano la poca “considerazione” loro riservata. Avrebbero ritenuta più idonea l’esclusione del club piuttosto che il rinvio di alcune gare. Interpretando quelle decisioni come un gesto di favore piuttosto che un atto dovuto. Il malcontento, nel caso specifico del Gavorrano, è acuito anche da una pessima classifica (da rimediare) e dall’aver subito qualche arbitraggio veramente assurdo. Da censura totale l’ultimo in ordine di tempo. Le immagini in onda sui social “bocciano” in maniera inequivocabile il fischietto di turno, protagonista di decisioni mai condivisibili.
Il fallimento dell’Arezzo. Dicevamo. Da non confondere/confrontare con la situazione verificatasi, precedentemente, a Modena. Gli aspetti giuridici e regolamentari legati alla vicenda dei gialloblu non garantivano la continuità. Inoltre, l’indisponibilità dell’impianto e lo sciopero proclamato, all’epoca, dai calciatori portarono alla radiazione, inevitabile, dopo quattro gare non disputate.
Il rinvio delle partite degli amaranto toscani (Livorno, Olbia e Monza) è stato stabilito dopo aver informato il Commissario della Federcalcio e aver sentito il parere dell’associazione calciatori. Ci si trovava in presenza di un’udienza fallimentare che era fissata per il 16 marzo scorso. L’apertura dell’esercizio provvisorio è stato concesso dopo che il Collegio preposto ha accertato che erano stati onorati gli impegni, imposti dalle norme, per i recenti mesi di gennaio e febbraio. L’ammontare delle risorse economiche nella disponibilità dell’Arezzo presso la Lega di Serie C e l’escussione della fideiussione presentata a garanzia del campionato offrono la copertura del costo del lavoro sino a fine stagione. L’impegno delle istituzioni del territorio, sindaco Ghinelli in prima fila, i ricavi da botteghino e le programmate liberalità dinatura economica saranno sufficienti a coprire le ulteriori spese di gestione. Una decisione, pertanto, più giuridica che sportiva.
Sulle diatribe relative al rinvio delle tre patite dell’Arezzo (deciso da Gravina), sorte nel merito della regolarità del campionato, l’artico 53 delle norme (rinuncia a gara e ritiro od esclusione delle società dal Campionato) recita in termini molto espliciti. Presidenti, direttori generali e sportivi (o pseudo tali) sono “invitati” a uno studio approfondito della materia prima di esprimere pareri. Peraltro, a poco più di venti giorni dalla sentenza di fallimento, non avendo certezze sulla disponibilità finanziaria e con il serio dubbio riguardante la concessione dell’esercizio provvisorio, ove la squadra fosse ugualmente scesa in campo, si sarebbe realmente rischiato di falsare l’esito del torneo.
A monte della vicenda una indispensabile riflessione. L’Arezzo non ha risolto tutti i suoi problemi. E’ stato compiuto soltanto il primo passo. Seppure importante. Altre difficoltà dovranno essere superate in sede di asta di aggiudicazione. Sul valore attribuito e sulla composizione della compagine societaria. Le inadempienze del passato caricheranno gli amaranto di ulteriori, pesanti penalizzazioni. Il coinvolgimento nei play out. La squadra è stata distratta da eventi che esulano dal fattore campo. La sconfitta di Viterbo ha messo in mostra un complesso non al meglio della condizione fisica. Si dovranno disputare 6 partite in poco più di 20 giorni. Un “tour” impegnativo. Un Arezzo relegato in Serie D potrebbe scemare di interesse e di valore.
I casi di Modena, Vicenza e Arezzo, uniti alle difficoltà in cui si dibattono diversi altri club, riconducono a un unico comune denominatore: la riforma dei campionati e il blocco, indispensabile, dei ripescaggi. Il format attuale non è sostenibile. Il sistema pretende l’applicazione e il rispetto di norme esemplari. Un controllo capillare sull’onorabilità dei soggetti (dirigenti) e delle poste di bilancio. Il sistema impone, per evitare radiazioni e fallimenti divenuti ormai consuetudine, un controllo funzionale, con richiesta di decisioni anche drastiche demandate agli Organi competenti.
Modena, Vicenza e Arezzo non possedevano titolo per iscriversi al campionato. Altre, tra le quali Matera, Siracusa, Akragas sarebbero in ritardo nei pagamenti. La Lucchese sembra essere uscita dal tunnel con l’avvento di Grassini, staremo a vedere. I presidenti di Paganese e Reggina hanno da tempo dichiarato che sono più interessati al mantenimento del titolo sportivo che alla categoria. L’ipotesi di un prossimo nuovo fallimento sarebbe più vicina di quanto si possa immaginare. La metà dei club in odore di promozione dalla Serie D accusa carenze di carattere organizzativo e infrastrutturale. Come si vede, un quadro generale niente affatto rassicurante.
Occorre quindi una chiama alle responsabilità. Reale. Di tutti. Calciatori per primi. Perché sino a oggi, dalla (s)ventura di quel 13 dicembre, parole tante fatti nessuno. Al punto di farci apprezzare, ogni giorno di più, quanto esclamava il nonno: si stava meglio quando si stava peggio!