Travelend il teatro del futuro di Clarizio Di Ciaula all'Orfeo
DI MARIA PASTORELLI
Lo spettacolo è Travelend: delineiamo e raccontiamo la trama. Le sue aspettative sono state ripagate?
Travelend è un giallo ambientato nel futuro, un futuro in cui un gruppo di donne si ritrovano a condividere la stessa casa sottoposte ad un severo ordine gerarchico. Nella loro triste quotidianità irrompe una tragedia di natura mondiale e il resto non ve lo svelo...
Beh sì, certamente sì, aspettative ripagate, al bando tutte le teorie possibili in merito al fare teatro, alla ricerca e alla sperimentazione, non mi piace dimenticare che il teatro è fatto per il pubblico quindi la risposta del pubblico è stata straordinaria. Questo spettacolo dallo stile noir è piaciuto parecchio. Io ho lavorato intensamente, in una nuova opera di drammaturgia al suo debutto, undici allieve che hanno seguito questo stage di recitazione, che hanno affrontato un teatro di ottocento cinquanta posti, come quello dell’Orfeo, e il che non è semplicissimo , sempre in condizioni a volte avverse per creare tutta la struttura di luci e tutta la parte scenografica coi tempi idonei, non sempre corrispondenti alle esigente dello spettacolo medesimo. È piaciuto molto al pubblico. Il debutto di un’opera nuova è sempre una bella occasione perché fa vivere un personaggio, lo vedi, detto in gergo, respirare.
Ci sono già delle prossime idee qui al teatro Orfeo visto che ci hanno accennato che state instaurando una vera e propria scuola di recitazione al suo interno?
Ci sono dei laboratori di recitazione che io tengo, conduco, che ormai vanno avanti da tre anni, io sono qui dal 2015, da quando c’è stato il centenario della nascita del teatro Orfeo. Gli allievi studiano recitazione e questo di stasera è uno dei prodotti finali di questo studio.
Le modalità di selezione e partecipazione eai suoi corsi e le tempistiche?
Le iscrizioni partono sempre a settembre con una richiesta scritta a cui segue un colloquio attitudinale semplicissimo, una chiacchierata per vedere le inclinazioni e le capacità dei singoli. E’ una formazione che parte da zero, aperta a tutte le età dai 16 anni in poi, i cui incontri si tengono settimanalmente o bisettimanalmente nei quali propongo lo studio di dizione, recitazione, analisi del testo e linguaggio del corpo.
I suoi prossimi obiettivi ed eventi quali sono? Ha già in mente qualcosa?
Io adesso mi sto occupando della regia di un mio spettacolo, che sarà prodotto da Attilio De Razza, che è il produttore cinematografico di Ficarra e Picone, e mi ha commissionato questo spettacolo nuovo che uscirà intorno a Maggio, della regia di un cortometraggio sempre da me scritto e spero altro molto molto presto..
Lo sparabolle, quale elemento inserito in un contesto per lo più drammatico, ha una valenza simbolica?
Per me sì perché era il momento in cui dovevo far significare il sogno di Soraya, dopo tutta la costruzione scenica creata, la bolla di sapone è la cosa o dinamica che mi ha più portato a pensare al senso del sogno e a come renderlo visivamente, qualcosa che ha una realtà che dura pochissimo, nella quale tu vedi la bolla e poi svanisce, e inoltre che ci riporta tutti a una dimensione onirica, una dimensione che non ci appartiene nella realtà, un rallentamento di tutti i nostri movimenti, con un via vai di gente che freneticamente si muove intorno, con la gente che comincia a giocare con le bolle, questi personaggi da lei creati che lei riporta nel suo sogno, iniziano a svanire come le stesse bolle di sapone. Nella scrittura del testo non c’è, attiene alla regia ed è una variazione da me pensata una ventina di giorni fa.
Il Teatro: cosa è per lei?
Il teatro è connaturato in me, faccio teatro da quando avevo otto anni, a diciannove anni ho avuto la fortuna di essere preso nell’accademia di arte drammatica Silvio D’Amico, ho fatto l’attore di Compagnia per vari anni e in seguito ho iniziato a dedicarmi alla regia. Comunemente si spiega che il teatro sia comunicazione, sperimentazione, ricerca, introspezione.
Io non dimentico mai l’etimologia della parola teatro, che viene da un verbo greco che vuol dire “guardare”, e quindi per me serve a guardare da parte del pubblico ciò che si propone e da parte di chi scrive la realtà perché è uno, forse, degli esempi più alti, che può rappresentare ciò che è l’umano sentire. Se non si riesce a guardare, non a vedere, tutto ciò che ci circonda, non si riesce a fare tutto quello che è teatro e arte scenica.
Il teatro è uno degli ultimi punti di incontro che resiste tra chi fa e chi ascolta e devo dire che gli effetti sono sempre strabilianti. Io incontro ancora persone, facendo questo lavoro da trenta anni, che ancora si ricordano alcuni dettagli e alcune cose, come magari lei tra un po’ di tempo si ricorderà delle bolle...
Nella foto Clarizio Di Ciaula