Taranto: Prigione, guerra e torture, la storia incredibile di Diaby
Lo sguardo di Aboubakar rivela molto, come anche la voce rotta dall'emozione nel ripercorrere una vita che sembra un film. Il primo gol nei professionisti è (quasi) il coronamento di un sogno: “in un minuto mi è ripassato tutto davanti agli occhi”. Detto da un ragazzo di 21 anni può sembrare esagerato. Ma se sei fuggito dalle guerre, hai subito un sequestro di persona e tanta sofferenza, è diverso. Aboubakar Diaby è la nuova stella del Taranto. Domenica scorsa ha firmato il gol del definitivo 3-1 contro il Palermo. E che gol: stop a seguire, tiro di destro e palla nell'angolino basso. Classe 2000, la sua è una storia incredibile: “Mettetevi comodi perché sarà molto lunga”, racconta a gianlucadimarzio.com. Accenna un sorriso, poi un lungo respiro: “Ho iniziato a giocare a calcio in Costa D’Avorio, a 8 anni. Per strada, con i miei amici. Papà non voleva, mi diceva di pensare allo studio. Per lui era una perdita di tempo. Un giorno, però, un suo amico, che mi aveva visto giocare, gli consigliò di iscrivermi ad una scuola calcio. Fortunatamente gli diede retta...”. IL PROCURATORE TRUFFATORE E LA PRIGIONE Aboubakar ha in testa solo il calcio e la voglia di emergere lo porta a fidarsi della persona sbagliata, a mettersi nelle mani di un truffatore senza scrupoli: "Uno pseudo procuratore mi promise mari e monti, mi disse che mi avrebbe portato in Libia a giocare, ovviamente in cambio di soldi. Io non sapevo neppure cosa fosse la Libia, avevo 15 anni. Gli diedi tutti i miei risparmi. Diceva che mi avrebbe cambiato la vita, si faceva chiamare ‘papà’. Ai miei genitori non dissi niente. In pratica me ne scappai. Mi fece salire su un barcone, un inferno e appena sbarcai in Libia compresi che mi aveva truffato. C’era la guerra, ero completamente solo. Non sapevo cosa fare e dove andare. Mi arrestarono appena toccai terra. In realtà fu un vero e proprio un sequestro di persona. Restai quasi due mesi in prigione. Chiesero un riscatto ai miei genitori, che furono costretti a pagare. Come se non bastasse mio padre stava male e rischiava di morire da un momento all'altro". E' una storia infinita quella di Diaby, inseguendo un pallone, la libertà, la vita: "Una volta libero iniziai a lavorare come muratore da un signore maliano che mi si prese cura di me. Volevo tornare a casa, dalla mia famiglia in Costa d'Avorio ma il mio padrone me lo sconsigliò e mi mise in contatto con alcune persone che organizzavano traversate verso l'Italia". Nel frattempo il papà perde la sua battaglia con la malattia. E' un momento terribile per Abou. Un'altro barcone e una nuova avventura, questa volta verso le coste siciliane: "Il viaggio fu durissimo. Ho visto persone perdere i sensi, stremate. Sbarcammo a Catania. Sembrava un sogno. Mi sistemarono in una casa famiglia. E’ stato qui che ho ripreso a giocare a calcio". “PUOI DIVENTARE UN CAMPIONE“ Diaby giocava per strada, nei campetti, ovunque ci fosse un pallone: "Un giorno uno dei responsabili della Casa Famiglia mi procurò un provino per l'Aci Sant'Antonio, in promozione. L'allenatore era Alfio Torrisi, oggi allena il Paternò, un secondo padre per me". Abou gioca un grande campionato, incontra il suo attuale procuratore Gianluca Virzì e a fine della stagione arriva la chiamata del Licata, in serie D: "Dove ho trovato una famiglia più che una squadra. Ho iniziato a capire realmente che potevo farcela". Aboubakar Diaby sembra un predestinato, convince tutti a suon di gol e giocate, arrivano le prime richieste dai top club di D, la più convincente, però, risulterà quella del Taranto e del ds Francesco Montervino: "Avevo visto qualche video su youtube, una piazza incredibile". Accordo raggiunto in pochi minuti. Si parte per la Puglia. GIOCHERÒ IN NAZIONALE A Taranto la consacrazione. Diaby si inserisce subito una squadra ambiziosa e, alla fine, sarà fondamentale nella vittoria del campionato: "In pochi anni son passato da una prigione alla vittoria di un campionato in Italia, posso solo ringraziare Dio per questo. Taranto è bellissima e la gente è molto generosa, la società fantastica". Ogni tanto la voce singhiozza per l'emozione. Inevitabile quando hai percorso tappe così difficili: "Un giorno giocherò nella nazionale del mio Paese, la Costa d'Avorio e dedicherò un gol alla mia mamma". In quell'esultanza contro il Palermo c'è tutta la gioia di un ragazzo che ce l'ha fatta. Contro tutto e tutti. Grazie (anche) ad un pallone. (Di Fabrizio Caianiello per gianlucadimarzio.com)