Dissalatore Tara: ‘La retorica della sostenibilità che tradisce le comunità’

Nota del comitato per la difesa del Territorio Jonico

CRONACA
26.01.2025 02:04

Il progetto di realizzazione del dissalatore di acque salmastre delle sorgenti del Tara è stato presentato da Acquedotto Pugliese come una soluzione innovativa e indispensabile per affrontare la crisi idrica della Puglia. Tuttavia, un'analisi approfondita dei documenti ufficiali ha evidenziato numerose criticità che mettono in discussione la reale sostenibilità di questa infrastruttura.

Uno degli aspetti più controversi riguarda lo studio condotto dal Politecnico di Torino, che utilizza la metodologia MesoHABSIM per definire il deflusso ecologico minimo necessario a preservare l'ecosistema fluviale. Sebbene questo metodo sia riconosciuto a livello internazionale, la sua applicazione nel caso specifico del Tara solleva interrogativi significativi. La soglia di 1.000 litri al secondo, identificata come portata minima durante i periodi di siccità, risulta insufficiente per tutelare specie protette come la lontra (Lutra lutra) e mantenere l’equilibrio degli ecosistemi fluviali. Inoltre, lo studio presenta alcune criticità metodologiche che ne riducono la robustezzal

Le simulazioni modellistiche non sono state validate con dati raccolti direttamente sul campo, lasciando margini di incertezza sulla loro accuratezza. L'analisi si concentra esclusivamente sul cavedano (Squalius squalus), escludendo una visione complessiva della biodiversità fluviale e degli habitat Natura 2000. Inoltre, non considera gli impatti cumulativi dovuti all'interazione tra il prelievo idrico e altri fattori, come lo scarico della salamoia nel Mar Grande, che potrebbero alterare gli equilibri ecologici. La mancanza di una valutazione sugli effetti del cambiamento climatico, come la maggiore frequenza di siccità, lascia ulteriori interrogativi sulla sostenibilità del progetto.

Il confronto con applicazioni simili in Italia e all'estero mette in evidenza le lacune dello studio. Ad esempio, studi sul fiume Po hanno integrato il metodo PHABSIM, che fornisce un'analisi più dettagliata per più specie target, mentre nel caso del fiume Loira in Francia sono stati condotti monitoraggi pluriennali per convalidare le simulazioni. Questi approcci rafforzano la robustezza dei risultati e forniscono una visione più completa degli impatti.

Anche l’impatto sugli ecosistemi marini è motivo di preoccupazione. La salamoia rilasciata nel Mar Grande, sebbene meno salina rispetto all'acqua marina, potrebbe alterare gli equilibri ecologici dell'area. La mancanza di studi esaustivi sugli effetti a lungo termine lascia aperti interrogativi importanti e critici.

Sul piano sociale e paesaggistico, il progetto prevede l'espianto di oltre 900 ulivi, molti dei quali secolari, con promesse di reimpianto che non offrono garanzie reali sulla loro sopravvivenza. La "modifica temporanea del suolo" non chiarisce come saranno ripristinate le aree interessate a lungo termine. Iniziative come il recupero della ciclovia e delle discese al fiume, sebbene apprezzabili, rischiano di apparire come interventi marginali che distolgono l'attenzione dai problemi principali e potrebbero essere percepite come operazioni di "greenwashing".

Alla luce di queste criticità, la sostenibilità del dissalatore del Tara appare dubbia. Una soluzione realmente sostenibile non dovrebbe limitarsi a rispondere a un'emergenza immediata, ma dovrebbe garantire un equilibrio a lungo termine tra esigenze idriche, tutela ambientale e protezione delle comunità locali. La città di Taranto merita una visione più lungimirante, capace di coniugare innovazione tecnologica e rispetto per il territorio, senza comprometterne la biodiversità e il patrimonio culturale. Come sottolineava Enzo Tiezzi, uno dei pionieri della sostenibilità, la vera innovazione deve essere misurata non solo in termini di progresso tecnologico, ma anche di compatibilità con i limiti ecologici e il benessere delle comunità. Giù le mani dal Tara!

Il comitato per la difesa del Territorio Jonico

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