Dissalatore sul fiume Tara: la posizione del FAI
I fiumi non sono semplici corsi d’acqua: rappresentano arterie vitali di un territorio, simboli di identità, cultura e patrimonio naturale. Da millenni, modellano il paesaggio, nutrono ecosistemi e ispirano comunità che sulle loro rive hanno trovato significato e sostentamento. Tra questi, il fiume Tara, pur meno celebre del Galeso, è profondamente intrecciato alla tradizione locale e al mito fondativo di Taranto, legato alla leggenda di Taras, figlio di Poseidone.
Oltre al valore storico e culturale, il Tara svolge un ruolo cruciale per l’ambiente. Alimenta la biodiversità, crea microclimi e sostiene la vegetazione locale in un’area già messa a dura prova da pressioni industriali e militari, come l’ILVA e il bacino della Marina. Tuttavia, la sua integrità è ora al centro di un acceso dibattito legato alla realizzazione di un grande dissalatore, approvato dall’Autorità Idrica Pugliese per fronteggiare la crisi idrica acuita dal cambiamento climatico.
Un progetto controverso
L’impianto, destinato a produrre 630 litri di acqua al secondo per soddisfare il fabbisogno di circa 385.000 persone, rappresenterebbe il più grande dissalatore d’Italia. Finanziato con 82 milioni di euro, in parte provenienti dal PNRR, il progetto solleva forti dubbi per il suo impatto ambientale. La gestione energetica richiederebbe un parco fotovoltaico “a terra”, sottraendo terreni agricoli alla produzione, già compromessa dalla xylella. Inoltre, l’espianto di ulivi secolari lungo i 14 km di condutture previste, anche all’interno della Masseria Carmine, aggiunge ulteriore pressione su un territorio noto come “l’orto dei Romani”.
Altri interrogativi riguardano la localizzazione del serbatoio di accumulo dell’acqua trattata e la gestione dei residui della dissalazione, che potrebbero compromettere in modo irreversibile l’ecosistema marino. Non è inoltre chiaro quali aree e comunità beneficeranno del progetto.
Le posizioni contrapposte
Il FAI (Fondo Ambiente Italiano) e il Comitato per la Difesa del Territorio Ionico hanno espresso contrarietà al progetto. Le organizzazioni denunciano il mancato coinvolgimento della popolazione locale nel processo decisionale, culminato nella Conferenza dei Servizi del 10 gennaio 2025, e chiedono una revisione del piano. Secondo il FAI, l’opera non è necessaria: sarebbe più utile destinare i fondi alla manutenzione e all’ampliamento della rete idrica esistente, che registra perdite vicine al 50%.
Un déjà-vu pugliese
La vicenda del Tara ricorda il caso del fiume Chidro a Manduria, dove, circa 40 anni fa, la costruzione di un invaso in cemento armato si rivelò un fallimento ambientale. Oggi, quell’area è al centro di un progetto di rinaturalizzazione e valorizzazione ecoturistica, un esempio che molti sperano possa ispirare soluzioni più sostenibili anche per il Tara.
Conclusioni
Il futuro del fiume Tara si intreccia con questioni di sostenibilità, tutela ambientale e partecipazione democratica. Il dibattito, destinato a proseguire, pone una domanda fondamentale: come bilanciare le esigenze idriche di oggi con la salvaguardia di un patrimonio naturale e culturale che appartiene anche alle generazioni future?